domenica 13 giugno 2010

Venerdì chiuso

Negli Stati Uniti la chiamano la formula TGIT e se ne discute su giornali, blog, tv. Sta per Thank God It’s Thursday, ‘Grazie a Dio è giovedì’. L’esclamazione di chi ha finito la settimana lavorativa e si può dedicare alla famiglia, allo sport, insomma ai fatti suoi. Solo che di solito, in tutto il mondo, da un secolo in qua, la sentiamo allo scadere del venerdì. Che succede?
In Utah si è concluso il più grande test di settimana ipercorta: 17mila impiegati pubblici, per dodici mesi, hanno lavorato un giorno in meno. Lavorando più a lungo il pomeriggio o diminuendo le pause, alla fine hanno effettuato lo stesso numero di ore, allo stesso salario. Intanto, però, hanno risparmiato in termini di spostamenti e di uffici riscaldati e illuminati, 12mila tonnellate di CO2, salvaguardando l’ambiente, e accresciuto la qualità della vita: l’82 per cento di loro vorrebbe continuare. Perfino gli utenti hanno gradito, trovando aperti gli uffici qualche ora in più durante la settimana.
Un esperimento epocale: l’inizio di una rivoluzione che potrebbe trasformare l’ambiente, le città, noi stessi. In sintesi, finora c’erano da una parte i lavoratori, dall’altra l’impresa. Si era bloccati in un luogo – la fabbrica, l’ufficio – e in un tempo – l’orario settimanale. Questo modello però oggi è in crisi. Economica, certo, ma anche di sistema produttivo, di rapporti col territorio: crisi da cui derivano inquinamento, traffico, stress sociale.. Occorre un modello più fluido in cui il lavoro, oltre ai beni, alle persone e alla ricchezza che genera, guardi alla qualità della vita.
È un’ipotesi di sviluppo a cui si ispirano la dottrina di Obama, la Green Economy, la teoria del downsizing: meno consumi, auto più piccole e, adesso, meno ore in ufficio. È anche un programma della commissione di Sarkozy, quella che chiede al G20 di sostituire al Pil, come indice della salute di un paese, il Piq: il Prodotto interno qualità.
Secondo questo modello la crescita non potrà più essere esponenziale, ma con precisi limiti. Così gli stati ricchi in crisi non potranno ripartire a spese degli altri, gli emergenti non potranno crescere a spese dell’ambiente.
Tutto ciò, fino al test dello Utah, è stata teoria. E in Italia ci arriveremo?
Sono ottimista per due motivi. Primo, godiamo di una rivoluzione hi-tech che estende il lavoro a ogni luogo e momento. È il ‘lavoro perenne’. Che non va preso nel senso negativo di schiavitù senza pause, ma come abbattimento delle barriere tra professione e tempo libero; orari e calendari spariscono e ognuno disegna la sua giornata su misura. Non ti chiederò ‘Che lavoro fai?’ ma ‘Chi sei e qual è la tua idea di vita?’. Secondo, l’Italia può essere la superpotenza del Piq. Pensiamo allo stile di vita toscano, in cui la gente trova il tempo di chiacchierare in piazza, di mangiare con calma, di sfuggire a orari ferrei. È la qualità del tempo che il mondo ci invidia.
Sembrava una bella tradizione sopravvissuta al passato. Invece è il futuro.

Aldo Bonomi
Flair

3 commenti:

  1. Molto interessante questo post, me lo sono letto con attenzione... magari riuscissimo ad arrivare a un sistema del genere!

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  2. la vedo dura, qui da noi. Anche se in Parlamento già lo fanno !

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  3. Credo che in Parlamento lavorino ancora meno di 4 giorni a settimana e sono pagati 3 volte tanto..

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